Velo sul posto di lavoro, parla la Corte Ue: “Vietarlo non è discriminatorio”

La Corte Ue ha deciso: vietare il velo islamico sul posto di lavoro non è discriminazione.

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“Il divieto di indossare il velo islamico, se deriva da una norma interna di un’azienda privata che vieta l’esposizione di segni politici, filosofici o religiosi sul luogo di lavoro, non rappresenta un caso di vera discriminazione”. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia europea pronunciandosi sul caso di una donna musulmana licenziata in Francia per essersi rifiutata di liberarsi del velo sul posto di lavoro.

La sentenza riguarda la storia di Samira Achbita, assunta nel 2003 come receptionist. All’epoca dell’assunzione, l’impresa per la quale la donna lavorava vietava ai dipendenti di indossare sul luogo di lavoro segni visibili delle loro convinzioni politiche, filosofiche o religiose. Tre anni dopo Samira Achbita ha informato il datore della sua intenzione di indossare il velo durante l’orario di lavoro. La direzione le ha risposto che non avrebbe potuto farlo in forza della neutralità cui l’impresa voleva attenersi nei contatti con i clienti. Ma la donna ha insistito, tanto da indurre l’azienda a mettere per iscritto questo divieto nel suo regolamento interno.

Il caso è finito dinanzi alla Corte Ue, che ha deciso. Secondo la Corte, quindi, è perfettamente legittimo che un’azienda, magari proprio per tutelare il suo giro d’affari, non esponga, tramite il suo personale, segni di ideologie politiche, filosofiche o religiose. Se la discriminazione viene fatta per perseguire lo stato di neutralità, allora si tratta di una “discriminazione indiretta giustificata da una finalità legittima”.

Si tratta di una discriminazione “indiretta” perché di fatto la norma interna all’azienda non implica di per sé una disparità di trattamento tra i dipendenti fondata sulla religione o sulle convinzioni personali.

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