La flessibilità nel mondo del lavoro è solo una falsa certezza?

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La flessibilità nel mondo del lavoro? Una credenza di stampo politico-economico, che ha mietuto e continua a mietere vittime. I dati a disposizione parlano di disastro totale, con il precariato in costante aumento e lavoratori sulla soglia della sopravvivenza.

Una visione economica legittimata dalla Commissione Europea e vidimata dalle istituzioni locali. I contratti a tempo indeterminato del passato sono stati trasformati a tempo determinato, privando i lavoratori di qualsiasi protezione sociale.

Basti pensare all’intenzione avanzata da Emma Marcegaglia, la quale parla dell’impellente necessità di ridurre i costi del lavoro. Cosa significa? Che i datori di lavoro possono licenziare come e quanto vogliono, appellandosi ai minor costi da sostenere per tenere a galla la propria attività. Ecco allora il senso dei contratti di breve durata, i quali offrono la possibilità ad un imprenditore di licenziare il lavoratore senza sostenere costi aggiuntivi.

Le riforme del lavoro, introdotte a partire dal 1997, hanno man mano eroso la barriera che proteggeva il lavoratori. La riforma Fornero e il Job Act le hanno dato il colpo di grazia. Ci sono contesti, come in Inghilterra, dove il datore di lavoro non è obbligato ad indicare un orario lavorativo preciso e può convocare il lavoratore in qualsiasi momento e tramite SMS.

Tutto questo si tramuta in varie difficoltà a sfondo sociale, tra cui l’impossibilità da parte dei giovani lavoratori di crearsi una famiglia, sottoscrivere un mutuo oppure acquistare una macchina. In poche parole, sta venendo sempre meno il potere d’acquisto di molti cittadini.

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