I voucher lavoro stanno diventando sempre di più un modo per incentivare le aziende al lavoro nero: è quanto emerge da una recente ricerca, dopo il boom di voucher attraverso i quali le aziende – specialmente nel settore del turismo e del commercio – sono solite pagare i collaboratori, spesso evitando (proprio grazie al voucher) di prendere posizione in merito ad assunzione e contratti.
In alcune città, negli ultimi anni (in particolare sono stati analizzati gli ultimi quattro anni) è emerso un aumento di richieste voucher da parte delle aziende: si è giunto, dal 2012 al 2015, ad un incremento notevole di vendita di buoni lavoro, in particolare dai dai 79.802 del 2012 ai 568.422 del 2015.
Questo è sicuramente un caso importante, che va a sottolineare una tendenza destinata a crescere sempre di più. Infatti, il buono-lavoro o voucher, sta diventando un sistema sbagliato di pagamento del lavoro, che non è più dedicato solamente al lavoro accessorio, ma sta sempre più riguardando anche altri tipi di impiego, con un aumento decisivo della precarizzazione del lavoro.
Ma il problema non è solo questo. Infatti, usufruendo di continuo di questi voucher, si crea una discrepanza anche nel settore delle pensioni: “Se uno dovesse essere pagato sempre con i voucher, dovrebbe lavorare 126 anni per poter avere una pensione di 673 euro al mese. Questo perché il versamento contributivo è del 13%, rispetto al 27% previsto per gli altri contratti.“, è quanto emerge. Il che è tutto in positivo solo per il datore di lavoro, ma non per il collaboratore, che non può in alcun modo percepire assegni familiari, maternità ed ammortizzatori sociali.