In base ad un ultimo censimento, circa 119 milioni (23,7%) di persone all’interno dell’UE sono ancora a rischio di povertà o esclusione sociale. Molti leader europei intendono aiutare circa 20 milioni di queste persone entro il 2020. Un obiettivo raggiungibile in soli due anni? Molto difficile.
La recessione, dal 2008 in poi, ha lasciato enormi cicatrici ancora visibili in diversi paesi del blocco euro. Serviranno realmente la creazione di nuovi posti di lavoro a risollevare molte persone dallo stato di povertà e dal disagio sociale? “Più lavoro, meno povertà” è un bellissimo slogan, enunciato spesso da vari politici nei corridoi del potere in tutta Europa e addirittura di Bruxelles. Ma è solo teoria attualmente.
Certo, lavorare equivale a non dover subire la pressante forza della povertà, la quale lentamente annichilisce l’energia vitale di un essere umano. Ma purtroppo la verità è ben diversa. La crescita dell’occupazione non è mai riuscita in passato a ridurre parzialmente o totalmente lo stato di povertà in cui vivono molte persone. Quindi, perché aspettarsi proprio adesso che questo trend venga completamente capovolto?
Negli anni precedenti al 2008, la forte crescita economica e dell’occupazione in molte nazioni europee non hanno mai determinato un deciso calo del tasso di povertà: anzi essa è aumentata. Ci sono due motivi che vanno a spiegare il perché. Innanzitutto, molti poveri vivono in famiglie in cui il membro più adulto è disoccupato; queste famiglie sono quindi soggette a forte recessione finanziaria. Nei periodi di “vacche grasse”, la crescita dell’occupazione ha portato a un aumento degli standard di vita nell’alto e medio ceto, ma non in quello più basso, aumentando il divario tra di essi.
Il secondo motivo indossa il vestito buono dello slogan “Più lavoro, meno povertà”. Avere un lavoro a volte non è sufficiente per liberare una famiglia dallo stringente cappio della povertà. I cosiddetti “lavoratori poveri” sono ovunque nel mondo, andando a braccetto con la povertà infantile. In alcuni paesi, circa la metà dei bambini che crescono in povertà hanno un genitore che lavora.
Ma cosa significa tutto questo? Significa che non c’è spazio per l’autocompiacimento, e non ci sono scuse per l’inazione, se l’obiettivo di ridurre la povertà deve essere preso sul serio e non come slogan politico da utilizzare nei comizi pre-elettorali.